venerdì 22 aprile 2011

Falsi invalidi: storie ordinarie di sanguisughe

Di fronte a tanti falsi ciechi, beh, non resta che aprire gli occhi. E, in effetti, l’italico campionario abbonda di situazioni che potrebbero perfino strappare un sorriso, se non nascondessero un vizio tragico: a Palermo una sorda viene assunta come centralinista; a Roma un paraplegico fa il maratoneta; ad Avellino un paralizzato ara i campi; a Bari uno senza mani guida il camion… A Monteforte Irpino è stata scoperta una donna di 62 anni che, stando ai documenti di invalidità, non avrebbe potuto nemmeno alzarsi dal letto: ogni mattina, invece, andava a zappare i pomodori nell’orto, poi tornava a casa, si metteva la tuta e cominciava a fare jogging. Peccato che la marcialonga, per lei, sia finita in caserma. Con tanto di doccia fredda.
Nel maggio 2009 a Genova è stato fermato un ladro acrobata: si arrampicava sui cornicioni, volava sui tetti, saltellava fra le ringhiere dei balconi. Hanno scoperto che era invalido al 75 per cento. «Avete ragione, ma la pensione non mi basta» ha provato a scusarsi lui. Gli hanno dato sei anni. A Ponzano Veneto nel febbraio 2011 viene scoperto un cinquantasettenne falso paralitico: risultava affetto da tetraparesi e invalido al 100 per cento, ma tre volte alla settimana andava a ballare la rumba e la salsa al circolo delle danze sudamericane. Il giochetto è costato alle casse previdenziali 170 mila euro (…). Ad Arzano (Napoli) nel 2005 è stata beccata una famiglia, 20 persone, tutte con la pensione d’invalidità Inps: il marito, la moglie, i tre figli, le due nuore, il genero, due zie, la nonna, i consuoceri, quattro cugini e altre due cognate. Nessuno di loro, ovviamente, risultava in possesso dei requisiti: il capofamiglia, presunto cieco, guidava l’automobile; uno dei suoi familiari, presunto paralitico, è stato fotografato mentre camminava trasportando sulle spalle enormi pacchi. La procura ha stimato il valore del raggiro: 3.770.000 euro. Solo per una famiglia? Possibile? Ma sicuro: i magnifici 20, infatti, oltre che il mensile, si erano fatti pagare anche tutti gli arretrati.
E se la famiglia non vi basta, ecco il quartiere dell’inganno: a Napoli, infatti, nel gennaio 2010 è stato scoperto un intero rione popolato di falsi pazzi. Siamo al Pallonetto di Santa Lucia, nella zona di via Chiatamone, subito alle spalle dei grandi alberghi della città: qui, su poche migliaia di abitanti, sono stati individuati ben 400 malati di mente con assegno di invalidità al seguito. Stando ai dati ufficiali, dunque, quelle strade dovrebbero pullulare di psicopatici, con una concentrazione impressionante di schizofrenici, paranoici e nevrotici, roba che al confronto il manicomio è un’oasi di razionalità. Ma vi pare? In realtà basta scavare un po’ per scoprire che nello stesso quartiere, poco tempo prima, era stato individuato un giro di malaffare fondato sui falsi ciechi: 53 persone arrestate.
Che i dispensatori di pensioni truffa abbiano solo pensato di cambiare specialità? Ma, se è così, perché concentrarsi proprio sulla follia? Che sia un segno dei tempi? Nel febbraio 2011, nel quartiere Chiaia, viene fuori invece il filone dei tumori inventati: per intascare la pensione d’invalidità si fingevano malattie incurabili e, con l’aiuto di medici compiacenti, si trasformavano semplici nei in cancri maligni. Come se la truffa all’Inps non fosse, già di per sé, un cancro abbastanza maligno. In effetti, sono almeno tre decenni che lottiamo contro i falsi invalidi. Senza grandi risultati, si direbbe. E pensare che verso la metà degli anni Ottanta, con l’ottimismo proprio dell’era craxiana, l’allora ministro competente, Gianni «balla balla» De Michelis, si diceva sicuro della vittoria finale. I giornali, in quel periodo, avevano sollevato la polemica sull’argomento, riempiendosi di grandi titoli a effetto: Invalida totale balla la mazurka; Cieco al 100 per cento vince il torneo di tennis; Zoppo vince la maratona; Anziana signora inabile al 70 per cento ottiene il porto d’armi; Sordo suona nella banda musicale; Sordomuto addetto al centralino…
All’epoca diventò quasi mitico il paesino di Militello Rosmarino, fra Messina e Palermo, dominato dalla dinastia Lo Re, in particolare dal celebre Vincenzo detto «Lo Re delle Pustole», che era riuscito a far avere, in quel centro di 1.200 anime, oltre 500 pensioni di invalidità. Tutti sciancati a Militello, tutti monchi, accecati, tisici o poliomielitici, compresi un certo Biagio (invalido al 70 per cento per «reumatismo articolare e ipoacusia bilaterale di tipo trasmissivo») e un certo Giuseppe (invalido pure lui al 70 per cento per «ipoacusia trasmissiva bilaterale»), oltre che cieco («riduzione del visus») e storpio («artrosi lombosacrale»): Giuseppe e Biagio, però, nonostante questo carico di sciagure personali, ogni domenica sfidavano eroicamente il dolore per scendere in campo con la locale squadra di calcio. Che cosa non si fa per il pallone, eh? Fra l’altro, molti degli invalidi di Militello Rosmarino figuravano come domiciliati proprio a casa del «Re delle Pustole»: arrivavano da tutti i paesi del circondario e prendevano residenza lì. «Che cosa ci vuol fare, signor giudice?» disse Vincenzo quando fu portato in tribunale per spiegare l’anomala circostanza. «Lo sanno tutti che odio stare da solo…».
Grazie a follie come queste le pensioni d’invalidità erano arrivate a livelli record. Pensate che fino al 1983 la legge non prevedeva nemmeno la possibilità di un controllo: sei un finto zoppo? Lo resti per tutta la vita. Sei un finto orbo? Nessuno ti toglierà la pensione. E qui arrivò il primo intervento dei governi socialisti, conditi di craxismo e ottimismo. «Le false invalidità? Un problema del passato» proclamò De Michelis nel 1984, come se il tema potesse essere seppellito per sempre. Illuso.
In realtà, il numero dei vitalizi pagati in nome della lesione fisica permanente continuò a crescere e nel 1989 raggiunse il record assoluto: 4.568.000, quasi un invalido ogni 10 persone. Fu allora che venne varato un nuovo intervento, decisamente più severo. E gli effetti, questa volta, si videro davvero: otto anni dopo, nel 1997, le pensioni d’invalidità erano scese a quota 3.418.528, nel 2002 erano arrivate addirittura a 1.766.785, un quarto di quelle che venivano pagate 13 anni prima.

di Mario Giordano

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