venerdì 22 aprile 2011

Le notti brave dei preti gay: tutti i video con l’inchiesta completa

È la sera di venerdì 2 luglio. Sono da poco passate le 9. All’interno di un pub nel quartiere Testaccio di Roma le uniche donne presenti sono le cameriere. Le due sale del locale, senza finestre e con muri che vogliono riprodurre l’interno di una caverna, sono riservate per una festa. Nella prima è stato apparecchiato un buffet con frittatine, insalata di riso e patatine. Nella seconda un dj arrivato dalla Toscana sta mettendo a punto la musica, nell’attesa che inizino le danze…
Si apre la porta del bagno. Escono due fusti in pantaloncini di jeans formato perizoma, anfibi neri sotto il ginocchio e gilet colorati, ricamati e sbottonati. Passano in mezzo agli ospiti e salgono sul palchetto rialzato che domina la pista da ballo. I loro corpi, tanto ricchi di muscoli quanto poveri di peli, sono più unti delle bruschette con mortadella sparse sui piatti del buffet. Sono venuti dal Piemonte per essere le «ciliegine sulla torta» di una serata che qualcuno ha voluto fosse molto speciale. Parte la musica, si abbassano le luci, si comincia a ballare. L’atmosfera si scalda. I due cubisti trascinano sul palco un uomo sui 35 anni. Indossa dei jeans con cintura bianca e una camicia rosa sbottonata che mette in evidenza una discreta abbronzatura. È francese e vive a Roma da diversi anni. È lui che ha organizzato la serata, ha contattato i due ballerini, li ha ingaggiati, pagati e prelevati poche ore prima dall’aeroporto di Fiumicino per portarli fin lì. Ora i due fusti gli rendono omaggio e lo mettono in mezzo, a sandwich, tra i loro corpi oliati. Lo coinvolgono in una danza molto sensuale, si strusciano, gli aprono la camicia, lo accarezzano, lo baciano. Una dirty dancing a tre, in versione chiaramente omosessuale.
Il francese che si dimena però non è un gay qualunque, ma sarebbe un prete: pochi giorni prima sembra abbia addirittura celebrato messa in Vaticano. E io sono uno degli invitati alla festa del Testaccio, fra i quali pare ci siano altri tre sacerdoti: un italiano, che individuo in un uomo con gli occhiali e un’età tra i 45 e i 50 anni, un brasiliano e un tedesco. Per il momento non so nulla di più e non sono neppure certo dell’identità e del ruolo delle persone interessate. La «soffiata» arrivata a Panorama non aggiungeva altro, al di là del luogo della festa e di alcuni partecipanti decisamente fuori dal comune. Potrei anche essere finito in mano a gente in malafede o a dei mitomani: nessuna ipotesi va tralasciata. Ma la serata è solo all’inizio e ciò che succede nella notte e nei giorni successivi aprirà scenari imprevedibili.
UNA TELEFONATA, ALLA FINE DI GIUGNO
Prende così il via un lavoro minuzioso, alla ricerca di riscontri. Una ventina di giorni fra appostamenti, partecipazioni a funzioni eucaristiche mischiati tra i fedeli, avvicinamenti di volontari nelle comunità parrocchiali, ricerche su internet e su Facebook. E soprattutto una frequentazione assidua con un gruppo di gay romani. Alla fine i punti fermi ci sono tutti e si delinea il quadro di una parte del clero che vive nella capitale, piccola ma non riducibile a casi isolati, che neanche tanto in segreto dà libero sfogo alla propria sessualità e trascorre l’esistenza all’insegna dei vizi privati e delle pubbliche virtù.
Com’è possibile che Panorama sia stato invitato alla festa dalla quale prende il via questa inchiesta? Tutto ha inizio in un caldo pomeriggio di fine giugno. Un ragazzo chiama in redazione per raccontare un fatto insolito: all’interno di una sauna di Roma, frequentata soprattutto da omosessuali, è stato avvicinato da un uomo di nazionalità francese che alla fine si è … offerto di dargli uno strappo fino a casa. Salito in macchina, continua il ragazzo, gli è caduto l’occhio su un collarino bianco adagiato sul cruscotto: «Sì, sono un prete» gli ha detto l’accompagnatore che, di fronte allo sguardo stupito del ragazzo, ha spiegato che tanti altri «colleghi» (li chiama proprio così) frequentano posti come quello o come il Coming out, locale per omosessuali dalle parti del Colosseo, oppure il Gay village. L’uomo racconta che qualche tempo prima lui stesso sarebbe stato costretto a scappare dalla sauna quando si è trovato di fronte un «collega» dal quale non voleva farsi scoprire. Conclude aggiungendo la storia di un brasiliano e un tedesco, entrambi preti, che da quando si sono fidanzati sono però diventati un po’ «stronzetti». Da quell’incontro, il francese e il ragazzo si scambiano molti sms. Il primo lo chiama «tesoro» o «cucciolo» e gli racconta dei suoi impegni, dal pomeriggio in cui deve fare «una doccia abbronzante » fino alla messa che «devo celebrare stasera alle 18 dove farò una preghiera per te, se vuoi». Si offre poi per fargli «due coccole », una prospettiva che lo fa ridere («hihihihi, adoro le coccole ») e infine lo invita a partecipare a una festa che si terrà la sera di venerdì 2 luglio al Testaccio, ma lo prega di «non dire che ci siamo conosciuti la settimana scorsa in sauna». Quando il ragazzo gli chiede se può portare «un’amica», che poi sarebbe il cronista di Panorama, il francese prima dice che «rischia di essere l’unica ragazza hihihi della serata perché gli altri sono tutti i miei amici»; poi, quando viene tranquillizzato sul fatto che l’accompagnatore è maschio, dà il suo benestare.
Eccoci alla festa, dunque, nei panni dell’amichetto di colui che da questo momento diventa il mio «fidanzato». Ci sono almeno una trentina di persone. Durante l’aperitivo sediamo al tavolo di una coppia: un ragazzo sardo, basso, capelli corti, canottiera, collana d’acciaio più bracciali e anelli, e un pugliese, più alto e in camicia. Il sardo ride continuamente. È felice; a Roma è venuto apposta da Cagliari per la festa e ci chiede come abbiamo fatto a conoscere il francese: «L’avete incontrato in confessionale?». Il pugliese invece s’indigna, dice che gli fa schifo pensare a preti che di giorno predicano in un modo e poi la sera fanno l’esatto contrario. Dice che ce ne sono in giro parecchi e che a Roma c’è una basilica dove ogni tanto gli omosessuali «passano a fare il bancomat». Lui stesso dice di avere accompagnato un amico davanti a questa chiesa: dopo 20 minuti è tornato in macchina con 300 euro in tasca.
Il cubista che salta in piedi sul tavolo dà il segno: è il momento di ballare. Ma quando il ballerino ti acchiappa per i capelli e ti tira a forza contro le sue parti basse, beh quella è una sorta di porta che ti si chiude alle spalle. Se rimani, sai a che cosa vai incontro. Riesco a staccarmelo di dosso con la scusa che davanti a tutti mi vergogno e con la promessa che recupereremo più tardi, lontano da occhi indiscreti.
Le stesse premure vengono riservate al (per il momento) presunto prete italiano, l’uomo con gli occhiali e un’età tra i 45 e i 50 anni, che viene preso in mezzo dai due escort e trascinato in un angolo buio della sala. Il trattamento dura almeno una ventina di minuti, l’italiano riemerge senza occhiali e con la camicia aperta e abbassata all’altezza dei gomiti.
IN MUTANDE A RIGHE ORIZZONTALI
Si va avanti così fino a tarda notte, quando ci si ritrova davanti al locale a fumare. Il presunto prete italiano racconta di un incontro con il Papa, la settimana prima, e fa l’imitazione di Joseph Ratzinger: «Fenite a me, ragazzi, fenite». Si fanno programmi per il giorno dopo, con il gruppo che vuole fare una gita al mare e l’italiano che declina perché deve celebrare sia al mattino sia alla sera. Il francese invece fa programmi più a breve termine: si va tutti a bere qualcosa dal mio «fidanzato» e ci si ferma a dormire lì. E così sarà. Con il francese in mutande a righe orizzontali che si infila nel letto del padrone di casa. E quando questi gli dice che lo eccita il fatto che lui sia un prete e che il massimo sarebbe se indossasse l’abito talare, il francese apre la borsa, si nasconde dietro una colonna della stanza e rispunta con la camicia grigia d’ordinanza, i boxer a righe, il collarino e gli occhiali. «Come sto?» chiede mentre gli si fa incontro per baciarlo. Tutto il resto è sesso.
La mattina dopo il francese ha un nome e cognome: per rispettarne la privacy noi lo chiameremo Paul. Non sappiamo ancora, però, in quale struttura ecclesiastica vive e dove celebra messa. Nulla è garantito: potrebbe essere una sorta di strano maniaco in cerca di avventure trasgressive. Ma una richiesta di amicizia su Facebook, accettata nel tardo pomeriggio di sabato 3 luglio, aiuta a delineare un po’ meglio il suo profilo. Ci sono tantissime foto, dalla cerimonia per la sua ordinazione sacerdotale fino alle tante celebrazioni eucaristiche in Vaticano: in diverse immagini, Paul è ritratto accanto al Pontefice. Infine ecco alcuni momenti di svago, come una gita in compagnia del «prete italiano» della festa e di due ragazzi.
Si tratta delle stesse persone che incontriamo la sera di sabato 3 luglio al Gay village, il ritrovo romano degli omosessuali. È il giorno del Gay pride romano, dal quale i nostri amici si sono opportunamente tenuti alla larga. Ci sono stati solo i due escort, che ci raccontano le meraviglie di una manifestazione che hanno vissuto da protagonisti: sono riusciti a infilarsi nel carro di Vladimir Luxuria e di una onorevole di cui non hanno colto il nome. Ma quando costei è stata intervistata dalla tv, giurano che erano proprio dietro di lei. Uno dei due spera che la scena non sia stata vista dalla madre e dalla fidanzata in Sicilia: per loro, lui ufficialmente fa il ballerino a Torino.
Al village ritroviamo anche il «prete italiano», reduce da due messe celebrate in giornata. Mentre i due escort, ubriachi, ballano e baciano chiunque gli capiti a tiro; il «prete italiano» tiene un profilo più basso e va via prima degli altri. Non prima di avere flirtato un po’ con il mio «fidanzato». Gli parla del suo appartamento che «si affaccia sul Pantheon» e dal quale si gode una delle migliori viste su Roma. Paul invece a un certo punto sparisce con uno dei due escort. Poi torna in pista, sparisce ancora perché dice di avere intravisto un altro «collega» dal quale non vuole farsi vedere, sparisce una terza volta per colpa di una catechista che conosce, infine tira tardi e conclude la serata nello stesso letto del giorno prima.
UNA MESSA CELEBRATA IN SALOTTO
L’indomani è domenica, 4 luglio. È il giorno della messa. Ma quando ci si alza dal letto è già l’ora di pranzo. Andiamo a mangiare un’insalata di pollo in un McDonald’s. Ci sono anche i due escort, canotta da combattimento, grandi collane e trolley in mano, pronti a partire con un aereo nel tardo pomeriggio. A tavola si parla del più e del meno. L’escort con la mamma e la fidanzata ignare in Sicilia dice che il suo sogno sarebbe quello di sedere almeno una volta accanto a Joseph Ratzinger. Paul sostiene che l’ha fatto per un anno intero e per un anno ha celebrato messa per lui. Lui che lo conosce sostiene che Ratzinger è meno cattivo di come lo dipingono certi media e che non sarebbe stato facile per nessuno raccogliere l’eredità di Karol Wojtyla. Probabilmente millanta, ma parla degli appartamenti papali, di Ratzinger che quando è entrato non ha voluto nulla di particolare, nessun addobbo floreale, nessun quadro di valore: avrebbe solo fatto ritinteggiare le pareti e fatto acquistare (testualmente) «alcuni mobili all’Ikea». Inoltre il Papa tedesco sarebbe così buono da devolvere in beneficenza tutti i proventi dei propri libri.
A sentire Paul, in realtà la vera «anima nera» della Chiesa sarebbe un alto prelato, di cui fa nome e cognome. Alle 2 ci alziamo da tavola. Siamo in cinque e ci dirigiamo verso casa del mio «fidanzato», dove Paul ha in programma di celebrare la messa domenicale. Per strada squilla il telefono di uno dei due escort. È un cliente: vuole vederli subito, chiede di raggiungerlo nel suo appartamento. Il tempo è risicato, rischiano di perdere l’aereo. «Non c’è problema, sarà una marchetta veloce» ridono, mentre salgono in taxi e ci lasciano i loro trolley.
Prima di entrare in casa, Paul tira fuori una valigetta dalla sua macchina. Ci mettiamo in salotto. Lui adagia sul tavolino un quadrato di lino bianco con ricamata una croce rossa in mezzo, poi sistema il calice, l’ostia grande, due bottigliette con acqua e vino, un crocifisso in testa e accende una candelina. Infine entra nella camera da letto e torna con l’abito bianco talare e una stola verde sul collo che gli arriva fino ai piedi. La messa per due fedeli (e tre icone attaccate ai muri del salotto: Audrey Hepburn, Uma Thurman versione Pulp Fiction e Valentina di Crepax) può cominciare. «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo». Paul inizia dicendo che «siamo riuniti per celebrare questa messa domenicale, che è anche l’occasione per ringraziare Dio della nostra nuova amicizia». Ma prima «riconosciamo i nostri peccati e affidiamoci alla misericordia di Dio». Confessiamo tutti e tre che abbiamo «molto peccato, in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa…». Colpa dalla quale bisogna fuggire, ci esorta l’officiante nella breve predica «per tornare a Dio, perché tutto promana da Dio».
Alla fine andiamo tutti in pace. Io e il mio «fidanzato» a cercare nuovi elementi sul «prete italiano», dopo che abbiamo ottenuto il suo contatto su Facebook e il suo numero di cellulare. Paul invece sistema la sua valigetta sacra nel baule dell’auto, accanto ai trolley dei due prostituti, e li accompagna in aeroporto raggianti per la riuscita veloce della marchetta.
Nei giorni successivi ci si concentra sul presunto prete italiano: lo chiamaremo Carlo, anche se non è il suo nome. Al primo messaggino si dice «felice del nuovo contatto, anche se non ho un terrazzo ma un’ottima vista dalla finestra». Aggiunge: «Sono come il Papa su San Pietro. A presto. Bacio a te». Basta inserire il suo nome e cognome su internet e vengono fuori notizie e foto che lo ritraggono in occasioni pubbliche, mentre l’amicizia che ci concede su Facebook conferma tutti gli elementi raccolti fino a quel punto. Resta solo da scoprire il posto dove celebra messa per avere l’ultimo tassello, quello definitivo. Sia per lui sia per il prete francese ci sforziamo di non dare nulla per scontato: per quanto ne sappiamo potrebbero anche essere ex sacerdoti, o addirittura scomunicati. Il rischio è alto.
Carlo dà notizie con il contagocce. Da una parte le avance che gli facciamo di continuo via sms non sortiscono effetto immediato perché, scrive lui, «la cosa mi sorprende un po’, sono vecchietto e per nulla top. Sono sincero: ho iniziato a vedermi con uno, penso comunque si possa fare». Dall’altra parte ha una vita sociale molto intensa, che lo porta a disdire appuntamenti anche all’ultimo momento. In quel caso chiede «a quali punizioni andrà incontro», e quando gli vengono prospettate situazioni ammiccanti scrive: «Cosa mi converrebbe di più?».
UN SOPRANNOME ESPLICITO: «CERCO PRETI»
Infine Carlo accenna a celebrazioni che lo aspetterebbero per il giorno dopo, ma non specifica mai in quale chiesa. Così, per diversi giorni, assistiamo a tutte le funzioni che si svolgono dal mattino alla sera nelle chiese intorno al Pantheon, la zona dove Carlo dice di abitare. Il problema è che ce ne sono un’infinità e del nostro prete non riusciamo a trovare traccia.
Nel frattempo accade qualcosa d’inaspettato. Mentre siamo intenti nelle nostre ricerche su internet, in un chat-group si fa vivo uno sconosciuto che si presenta col nickname «ospito a Trastevere» e chiede massima riservatezza. Nella chat si entra senza preventiva registrazione, noi scegliamo quindi un soprannome esplicito: «Cerco preti». Il nostro interlocutore ci approccia. Fa domande su domande, vuole sapere età, zona in cui viviamo, cosa ci piacerebbe fare, peso, altezza e caratteristiche: mascoline o femminili, attive o passive. Dice di chiamarsi Luca, di essere un molisano residente a Roma da 25 anni, e garantisce: «Sono un vero prete». Prendiamo appuntamento per la sera stessa, alle 9. Accompagno il mio «fidanzato» in un quartiere del centro. È martedì 6 luglio. Lo seguo da vicino mentre incontra Luca. Eccolo: alto, magro, capelli chiari, pantaloni beige, maglietta bianca, occhiali, sandali ai piedi. Una breve presentazione e gli fa strada verso la vicina chiesa di una missione cattolica con gli alloggi sopra. Luca tira fuori una chiave e apre il portone: non sa che il mio complice ha con sé una telecamera nascosta. I due attraversano l’atrio, dove una persona è seduta al computer, e salgono al secondo piano. Luca socchiude la porta della camera: dentro c’è una grande libreria, una scrivania con la Bibbia aperta su un leggio. In tre secondi si spoglia a trascina a letto il mio «fidanzato ». Dopo un rapporto sessuale, apre l’armadio e mostra i suoi abiti sacri: due tonache nere, una bianca, una verde. Mentre riaccompagna al portone l’amante occasionale, gli chiede se ha soddisfatto la sua curiosità di «fare sesso con un prete». Luca racconta che di solito succede il contrario: dopo il corteggiamento in chat, quando dice di essere prete molti scappano.
«QUI SEI IN UN LOCALE GAY FRIENDLY»
Intanto Paul ci concede l’amicizia anche alla sua pagina privata su Facebook, dove figura con un nome diverso da quello che ci ha dato. Qui la foto d’apertura è un primo piano del suo occhio destro, e i contenuti sono tutti a sfondo omosessuale: immagini di culturisti in posa; falli di ogni misura; perfino quello che potrebbe anche essere un fotomontaggio, con due uomini che posano nudi su un altare. Paul sta per partire per la Francia, dove rimarrà per tre settimane, ma il giorno prima dice messa alle 7 in Vaticano. Dopo la sua partenza facciamo un salto al convento romano dove alloggia. Chiediamo di lui. Ci dicono che è appena partito e che tornerà intorno al 10 agosto. La conferma, unita a molte altre di cui omettiamo i particolari per proteggere la riservatezza di Paul, può bastare.
Rimane Carlo, il prete italiano, che nel frattempo cede alle nostre avance e ci invita a cena in un ristorante vicino a casa sua. Il mio «fidanzato» arriva alle 9; Carlo indossa scarpe sportive, pantaloni beige, una camicia turchese e a tracolla tiene una borsa nera. Il ristorante è tra piazza Navona e il Pantheon. Carlo saluta tutti, conosce tutti, dal proprietario ai camerieri, questi ultimi tutti gay e bellocci. «Adesso hai capito perché vengo qua?» dice ammiccando. «Questo è un locale gay friendly ». Ordina una pizza e una birra. Al tavolo accanto ci sono due uomini, lui dice che uno è un prete e l’altro il suo «fidanzato». E fa una battuta: «Attento, perché sei in mezzo a un sandwich tra due preti». A sentir lui, quello è un ristorante frequentato da tanti prelati gay. Carlo racconta di avere scoperto le vere tendenze sessuali tre anni fa, entrando nel giro romano e frequentando altri sacerdoti. Giura che almeno il 98 per cento dei preti che conosce è omosessuale e che gli altri reprimono la loro sessualità: i più frustrati sarebbero quelli che esibiscono tonache ornate di pizzi e merletti. Dice che nella Chiesa di oggi c’è una parte «intransigente» che si sforza di non guardare la realtà, e un’altra più «evangelica» che riconosce e accetta il fenomeno dei preti gay.
Finita la pizza, Carlo porta il mio «fidanzato» nel suo appartamento passando direttamente per il portone della grande struttura ecclesiastica cui appartiene. Prendono l’ascensore, una volta dentro lo fa affacciare dalle finestre per ammirare il panorama. Poi, ancora una volta sotto l’occhio della nostra telecamera nascosta, l’uomo si spoglia, si mette dei pantaloncini corti e si sdraia sul letto. Scopriremo qualche sera dopo che dice messa proprio a poche decine di metri da dove abita.
Rimane solo da scoprire qualcosa di più su «don Luca il missionario », la cui vicenda col passare dei giorni si tinge di mistero. Per una settimana assistiamo alle celebrazioni in lingua italiana, spagnola, portoghese che si tengono alla missione. Ma di lui non c’è nessuna traccia. Chiediamo notizie al sacerdote più vecchio: risponde che Luca non c’è e si allontana quasi indispettito. Entriamo a far parte del gruppo di volontari che collabora nella missione; conosciamo quasi tutti, dai ragazzini fino ai preti brasiliani e sudamericani. Partecipiamo perfino alla riffa domenicale, con un computer come omaggio finale. Niente, don Luca non c’è. Proviamo allora a stanarlo lasciando un biglietto sotto la porta di quella che dovrebbe essere la sua camera: gli scriviamo di richiamarci con urgenza, e come firma scriviamo «il ragazzo dell’altra sera». Ancora nulla. Proviamo infine a uscire allo scoperto con alcuni membri della missione: diciamo loro che siamo stati nella stanza del secondo piano con don Luca e descriviamo tutti gli arredi della camera. Gli interlocutori si chiudono a riccio e dicono che lì non c’è nessun don Luca, nessun prete di origine molisana.
Sono passati circa 20 giorni dalla serata al Testaccio. Chissà. Forse don Luca in realtà non è un vero prete. Eppure ha le chiavi e si muove all’interno della missione e della sua camera con la familiarità di chi ci vive. L’ambiguità del suo ruolo si sovrappone alla doppia realtà di quanto abbiamo scoperto in questo strano «viaggio» nei vizi della capitale: ma il sesto comandamento non recita «Non commettere atti impuri »?

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