lunedì 4 aprile 2011

Violentata e poi licenziata sotto accusa il re del computer

05 aprile 1998
WASHINGTON - L' orco dei computer - singhiozza la fanciulla - mi stringeva sul letto in una morsa ansimante e bavosa. Il bruto, vostro onore, mi aveva attratta nel suo castello sull' isola tra i fiordi dello stato di Washington, con un pretesto di lavoro. Ma il "lavoro" si era in fretta trasformato in un inseguimento ferino attraverso i cinque corridoi, le due piscine con sauna, le sei scalinate di marmo italiano, i quattro garage, la biblioteca, le tre sale da pranzo, le nove stanze da letto del castello ed era finito lì, sul giaciglio della fanciulla. In quell' abbraccio disgustoso. Neppure un "no" reciso, di quelli che normalmente bastano per convincere persino Bill Clinton a richiudersi i calzoni, aveva fermato questo bruto. Neppure la porta della camera da letto, chiusa a chiave, aveva arrestato la sua furia: il castello era suo, e lui aveva sfondato la porta. Il bruto se ne era andato finalmente, racconta la fanciulla, zoppiccando e imprecando per una ginocchiata nel luogo dove anche gli orchi sono vulnerabili, ma la sua furia insoddisfatta era intensa come il dolore. Gridò vendetta contro di lei che lavorava per lui e vendetta fu consumata. Non si sfugge alla collera dell' orco se l' orco è il terzo uomo più ricco d' America, è colui che ci guarda dallo schermo del computer ogni volta che lo accendiamo: Paul Allen, il creatore e padrone, insieme con Bill Gates, dell' impero mondiale dei bit. Della Microsoft. Ora, come un Clinton qualsiasi ma senza Hillary a coprirlo, come un marinaio ubriaco, l' uomo che possiede la maggioranza delle azioni di Microsoft e un borsellino che valeva - alla chiusura di Wall Street ieri l' altro - 25 mila miliardi di lire, si scopre formalmente accusato di molestie sessuali, violenza, discriminazione e calunnia dalla amministratrice di una delle sue tante società. Dalla fanciulla, Abbie Phillips, che il giorno dopo la presunta caccia grossa nel castello di Allen davanti alla città di Seattle, tornò alla sua scrivania nella azienda di software per bambini, "Storyopolis", a Los Angeles, soltanto per scoprirsi licenziata in tronco dal padrone, dall' orco frustrato. Per scarso rendimento, truffa, appropriazione indebita di fondi aziendali, falsi in bilancio, diceva il fax. Perché non ci sono stata, risponde lei, altro che falsi. L' accusa è da codice penale, gravissima, e i guai, se l' accusa è dimostrabile, possono e devono essere seri. Ma il profumo è quello dei soldi, di quei dollari che nella nostra società tanto poco mistica potrebbero monetizzare anche il martirio di una fanciulla. E se il danaro può molto, Paul Allen può moltissimo, perché soltanto due uomini ne hanno più di lui. Il socio e amico d' infanzia Bill Gates, sposato con una sua ex impiegata alla quale ha fatto firmare un romantico contratto prematrimoniale di rinuncia alle ricchezze del fidanzatino. E il vecchio finanziere Warren Buffett, un uomo così anziano che probabilmente prenderebbe un' accusa di tentata violenza carnale come un complimento. Della non santissima trinità che sta al vertice del paradiso dei miliardari americani, Paul Allen è dunque sicuramente il meno celebre ma anche il più vulnerabile ad accuse come questa. A 45 anni, la stessa età di Gates con il quale era compagno di liceo a Seattle, Allen è un bon vivant, un donnaiolo scapolo (almeno ha il buon gusto di non essersi mai sposato e di non fingere devozione per la sua lady, come Bill Clinton). E' un figlio del suo tempo e della sua generazione, un po' hippy, un po' genio, un po' matto. Se Gates è l' indiscutibile "antipatico" ufficiale dell' impero Microsoft, Allen è il "simpatico", il volto umano dell' impero. Uno di noi. E' noto che fu lui, sui banchi del liceo, a convincere Bill Gates che l' Università sarebbe stata - come altri constatano tutti i giorni - un' immensa perdita di tempo e che il futuro era in quelle "microchips", in quei processori sempre più piccoli. E immense fortune avrebbero baciato coloro che avessero saputo mettere l' astruso mondo dei computer alla portata di mamma, papà e dei loro figlioletti. Allen, che non finirà mai l' università come non la finì Gates (nota del redattore per genitori ansiosi: due dei tre uomini più ricchi d' America non hanno laurea) lavorò brevemente per la Honeywell. Aveva un buon "posto", ad altri sarebbe bastato. Scriveva software, programmi per aziende e ministeri. Si rompeva le scatole a morte. Riprese contatto con Gates. Gli sottopose l' idea per un sistema operativo per far funzionare i microcomputer personali, allora ai primi passi. Era il 1975: insieme con Gates fondaroro senza soldi una società chiamata Microsoft, battezzarono il programma che Allen aveva concepito Ms-Dos (Micro soft Disk operating system) e il resto è storia. Nel 1983, la quota azionaria di Allen valeva già tremila miliardi di lire, dopo l' ingresso della Microsoft in borsa. Ma mentre Bill studiava dietro i suoi occhiali spessi i modi per accrescerla ancora, Paul partì per una vacanza in Europa. Quando tornò aveva la febbre. Una strana febbre che non passava. I medici gli diedero la sentenza: morbo di Hodgkins, un cancro del sistema linfatico. Nel 1983, dunque, Allen aveva 30 anni, tremila miliardi di lire in banca e il cancro. Ma ebbe fortuna. Lo curarono bene, il morbo andò in remissione, dove da 15 anni rimane. E Paul Allen miracolato fece quello che ogni persona ragionevole avrebbe fatto al suo posto: decise di godersi la vita e i suoi soldi. Rinunciò a guidare quotidianamente Microsoft in tandem con Gates, tenendosi stretta la sua fetta di azioni (hippy ma non fesso) e un posto nel consiglio di amministrazione. Poi, come un bambino lasciato solo in un negozio di giocattoli, si comperò il mondo. Costruì per se stesso, la sorella Judy, la madre, il castello da nove stanze da letto su un' isola di fronte a Seattle, negli stupendi fiordi di abetaie sulla costa Pacifica del Nord Ovest. E mentre Bill Gates lavorava instancabilmente ad aumentare anche la sua ricchezza (venerdì scorso, proprio mentre la fanciulla gli faceva recapitare la denuncia, il corso della MSoft raggiungeva il massimo storico a quasi 100 dollari per un' azione che nell' 83 valeva 1 dollaro), lui tentava - invano - di spenderla. Le spese non bastano mai, per chi ha questo genere di fortune. Si è comperato un' altra isola, per costruirsi un castello ancora più grande. Fa collezione di vecchi aeroplani, 12, tra cui uno dei pochi esemplari ancora in funzione di quadrimotore "Lockheed Constellation", l' ultimo Air Force One a elica usato ancora da John Kennedy prima dell' avvento dei jet. Si sposta in aria su un trireattore Boeing 727 personale, ma non ama gli alberghi: ora che fa la spola fra Seattle e Los Angeles, dove sta la dozzina circa di aziende che lui ha creato sempre nel mondo dei computer (una, la Dreamworks effetti speciali, con Steve Spielberg), ha acquistato un pied-à- terre: è la faraonica villa di Beverly Hills che era appartenuta a Rock Hudson. Naviga per diletto su uno yacht da 150 piedi, 50 metri. Ha costruito una biblioteca privata per la mamma, che è appassionata collezionista di libri e cosi sta fuori dai piedi quando lui invita le fanciulle. Essendo appassionato di basket, si è comperato una squadra del campionato professionisti Nba, i Portland Trail Blazers per 100 miliardi di lire. Poi una di football, i Seattle Seahawks, "per non dover più comperare il biglietto dai bagarini", ha scherzato. Costo di questo "biglietto": 300 miliardi di lire. Birra e noccioline a parte. Non è stato mai visto in giacca e cravatta. La sua è la cultura della T-shirt, dei sandali, dei capelli già grigi e radi ma ancora lunghi e raccolti in codino, della eterna primavera adolescenziale garantita da un portafogli che non gli eviterà di morire, ma gli permetterà di non diventare mai grande. E giacca e cravatta non sarebbero comunque tollerati tra i "Threads", i "fili", il complesso rock con il quale fa concerti e incide dischi regolarmente. Lui suona la chitarra elettrica, alla maniera del suo idolo, Jimy Hendrix. E' un ragazzo di 45 anni ancora scapolo, senza un posto, senza neppure il "pezzo di carta", soltanto con una chitarra elettrica sottobraccio, 25 mila miliardi in banca, un cancro addormentato in corpo e una denuncia che potrebbe mandarlo in galera. Queste non sono vite vere, gente. Questi sono romanzi americani. -  
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

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